lunedì 22 novembre 2010

Latitanza sociale


Controllo è dominio, sorveglianza, regolazione, padronanza, comando, direzione, governo. Nel linguaggio comune e nelle innumerevoli forme nelle quali si esplica, anche la più quotidiane e banali e subdole, il controllo si naturalizza nell'esistenza calibrando dovutamente coercizione e consenso.Strategico, violento e deprecabile l'estendersi capillare della rete del controllo e la leggerezza con la quale si legittimano dispositivi fortemente lesivi già della dignità.

Subire ogni forma di controllo è nell'ordine delle cose, è normale,... anormale è non reagire ad esse. Reagire alla sorveglianza, sottrarsi alle forme di controllo dopo averne delineato profili e spessore è un'azione politica.E politica è una certa forma di "latitanza sociale", via di fuga dalla padronanza di governo e primo esodo dei più deboli dalla linea di tiro degli isterismi istituzionali legalizzati.

La latitanza sociale è la prima forma di resistenza alla socetà del controllo, e la singolarità che attravaerso un'identità vuoi assente, vuoi indefinita o plurale, assume i caratteri della moltitudine, l'elemento inarrestabile.

giovedì 24 giugno 2010

L'estrema unzione


A Pomigliano si sta consumando l’ultimo tragico epilogo della classe operaia. Falsificato il linguaggio, falsificate le immagini e falsificate le regole del gioco, il vincitore non poteva che essere uno: il detentore del capitale.
La Fiat deve vendere, lo scenario che si presenta è un regalo che viene fatto a quelle migliaia di operai già in difficoltà che devono ritenersi onorati, e la Marcegaglia, riferendosi ai quel 40% che ha detto no, dice che gli operai non hanno ancora capito quali sono i programmi da perseguire.
L’estrema ipocrisia con la quale il tutto va in scena (in onda), la totale assenza di un qualunque possibilità di resistenza e l’incapacità di intravedere tutta la filiera di ripercussioni sull’intera forza lavoro rende la questione epocale. Ma soprattutto, quali sono le poste in gioco che si contendono questa ipotetica ripresa dell’economia italiana ?
La risposta è semplicissima e può sfuggire solo ad un’analisi troppo attenta o ad uno sguardo catatodico: le uniche poste in gioco sono la vita degli operai ed i profitti del capitale, e quanto da qui si allontana opera già problematizzando su falsificazioni.
La vita degli operai ed i profitti dell’industria…e come può esserci scelta quando in gioco c’è la vita o niente? Come può esserci scelta tra mangiare o non mangiare ? In quale gioco d’azzardo ci si inoltra quando a scontrarsi faccia a faccia si trovano la vita ed il profitto ? E quale occulto sortilegio opera se tutto avviene, a differenza di quasi due secoli fa, senza alcuna resistenza?
La drammaticità del ricatto sta in quelle condizioni equiparabili a Nord Corea, Vietnam e Cina che con il processo di normalizzazione creerà una flessione delle condizioni di lavoro di tutti quei settori che finiranno per ritrovarsi fottuti in nome della competitività. E del resto è proprio una caratteristica della bioeconomia rendere possibili questi ricatti, quando ad esser capitalizzato è ogni aspetto della vita umana, e quando il seme della non libertà sei costretto a piantarlo non appena sottoscrivi il tuo primo mutuo, anche se solo per procurarti dove vivere.
Ad una obiettiva analisi, ripulita dai ”a Pomigliano sono tutti fannulloni” o dalla “schiavitù a tutti costi in nome della ripresa”, il colpo di mano di Marchionne appare piuttosto coercitivo ed arrogante, in grado di ledere profondamente la dignità e le condizioni della vita degli operai, delle loro famiglie e di creare delle condizioni tali da permettere che questo si perpetui e si propaghi senza sosta. Una vera offensiva contro la classe lavoratrice.
Il gioco è bastardamente contorto per non sentirsene coinvolti anche se sicuramente dalla commessa alla segretaria o dal postino all’infermiere o dal professore al bancario, tutti si sentiranno così lontani da quegli operai da credere di poter permettersi un’alzata di spalluccia e quattro passi di indifferenza laddove si va incidendo anche sul loro destino e futuro. L’economia globale unge da lontano e proprio da dove meno te lo aspetti ed in questo sta la forza della sua bastardaggine.
Ma se l’industria mette sotto ricatto la vita del popolo, non dovrebbe essere lo Stato a correre in difesa del suo popolo correggendo e moderando il capitale nelle sue pretese, nelle sue estorsioni di vita ? E oltre che ingenua, quanto maldestra e sovversiva potrebbe risultare questa domanda se finisse che a far le veci di questo capitale ci fosse proprio lo Stato ?
E se al posto della “classe operaia” usassimo il termine “moltitudine precaria”, per indicare quella moltitudine salariata la cui vita risulta precaria perché dipendente dagli andamenti del mercato e soggetta alle nuove alienazioni derivate dalla produttività e dalla competitività, se usassimo questo termine ci verrebbe forse il sospetto di far parte di qualcosa di molto esteso e numeroso, ci farebbe riconoscere nel torto subito dall’altro, e percepire l’ingiustizia anche indiretta ?
Ci farebbe render conto, una volta riconosciuti, di far parte di qualcosa di straordinariamente numeroso, inarrestabile e potente ?
Intanto a continuare ad esser scritta è solo la storia del capitale, incisa sulla nostra pelle, come unica enunciabile… come ineluttabile estrema unzione.

lunedì 7 giugno 2010

Riformare o Risanare ?

" ? " ... meditando sopra le ceneri dell'ordine stabilito.

giovedì 13 maggio 2010

Libertà a condizione

"Sotto il governo di un sistema repressivo, anche la libertà può essere trasformata in un possente strumento di dominio. Non è l'ambito delle possibilità di scelta aperte all'individuo il fattore decisivo nel determinare il grado della libertà umana, ma CHE COSA può essere scelto e cosa E' scelto dall'individuo. Il criterio della LIBERA SCELTA non può mai essere un criterio assoluto, ma non è nemmeno del tutto relativo. La libera elezione dei padroni non abolisce nè i padroni nè gli schiavi. La libera scelta tra un'ampia varietà di beni e di servizi non significa libertà se questi beni e servizi alimentano i controlli sociali su una vita di fatica e di paura- se, cioè, alimentano l'alienazione. E la riproduzione spontanea da parte dell'individuo di bisogni che gli sono stati imposti non costituisce una forma di autonomia: comprova soltanto l'efficacia dei controlli.
Quando si raggiunge questo punto, la dominazione, sotto specie di opulenza e libertà, si estende a tutte le sfere dell'esistenza pubblica e privata, integra ogni opposizione genuina, assorbe in sè ogni alternativa.
La razionalità tecnologica rivela il suo carattere politico allorchè diventa il gran veicolo di una dominazione più efficace, creando un universo veramente totalitario in cui società e natura, mente e corpo sono tenuti in uno stato di mobilità permanente per la difesa di questo stesso universo. " (H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, Eunaudi)

martedì 23 marzo 2010

La matrice


Perimetri esistenziali... Chiesa, Scuola, Lavoro. Geometrie della Matrix che mantengono lo stato in ordine (cosmos) ed in quiete. Sistema in equilibrio, dove non c'è azione, ma solo reazione agli stimoli stabiliti. Pianificazione e valorizzazione di tutto l'arco dell'esistenza. Genealogia del senso e del non senso di tutte le cose. Coordinate di una soggettivazione già sottoposta a finitezza, nonchè contenitore di un divenire prevedibile e manipolabile. Sistema omeostatico che si compensa da sè sottoponendo sempre l'esistenza al dominio di tutti e tre o anche di solo uno dei fattori di imprinting. Come nel caso cala la Chiesa, vediamo salire l'istruzione (modo attuale) o nel caso siano meno le due, il tempo di lavoro riduce a se anche tutto il tempo di vita...

L'osservatore, ai margini del mondo, quanto dovrà urlare o su cosa potrà far leva per svegliare la moltitudine dalla Matrix ? Sostituire simboli con altri simboli è cosa nota all'uomo, ma sarà mai l'uomo simbolo di se stesso ? ...Instabile, imprevedibile, non lineare, il caos rischierà sempre di assomigliare più ad un inferno piuttosto che apparire come prima istanza di liberazione. E negli intrecci della storia e del destino quale ruolo potrebbe o dovrebbe assumere l'osservatore ? Quali equilibri sarebbe lecito spezzare e quali ripristinare ? Scende dalla montagna ed annuncia, come in passato o agisce nell'ombra ed in silenzio ? Conserva, restaura o distrugge ?

sabato 30 gennaio 2010

Attrito


L'attrito, la frizione è data dallo sfregamento delle forze in gioco, l'esserci come naturalità, come scoperta e sentita neutralità che cerca di definirsi e di definire, per quanto possibile, gli ambiti del suo passaggio ed i meccanismi sociopoliciti che cercano di imporre la loro matrice, definendo soggetto, andatura e percorsi. Ammorbidente e confortevole la mano che ci conduce nella rete delle convenzioni, e se la configurazione va a buon fine si riducono o scompaiono le possibilità di attrito. Più confortevole ed auspicabile, potremmo dire, una vita senza attriti o sporgenze, ma è proprio nella levigatezza che scompaiono definivamente quei sussulti disarmonici ed asimmetrici, i soli ad avvertirci della deficienza di quel componimento. L'attrito è individuazione e resistenza, invertire la rotta è lo stridere con il movimento del senso comune; irrequietezza che tende alla liberazione e che porta alla scintilla, alla scintilla della ribellione.
...E la ribellione trova in se stessa la propria giustificazione, indipendentemente dalla sua possibilità di modificare o meno lo stato di fatto che la determina. Non è solo la scintilla, ma la SCINTILLA nel vento che cerca la polveriera.