La Fiat deve vendere, lo scenario che si presenta è un regalo che viene fatto a quelle migliaia di operai già in difficoltà che devono ritenersi onorati, e la Marcegaglia, riferendosi ai quel 40% che ha detto no, dice che gli operai non hanno ancora capito quali sono i programmi da perseguire.
L’estrema ipocrisia con la quale il tutto va in scena (in onda), la totale assenza di un qualunque possibilità di resistenza e l’incapacità di intravedere tutta la filiera di ripercussioni sull’intera forza lavoro rende la questione epocale. Ma soprattutto, quali sono le poste in gioco che si contendono questa ipotetica ripresa dell’economia italiana ?
La risposta è semplicissima e può sfuggire solo ad un’analisi troppo attenta o ad uno sguardo catatodico: le uniche poste in gioco sono la vita degli operai ed i profitti del capitale, e quanto da qui si allontana opera già problematizzando su falsificazioni.
La vita degli operai ed i profitti dell’industria…e come può esserci scelta quando in gioco c’è la vita o niente? Come può esserci scelta tra mangiare o non mangiare ? In quale gioco d’azzardo ci si inoltra quando a scontrarsi faccia a faccia si trovano la vita ed il profitto ? E quale occulto sortilegio opera se tutto avviene, a differenza di quasi due secoli fa, senza alcuna resistenza?
La drammaticità del ricatto sta in quelle condizioni equiparabili a Nord Corea, Vietnam e Cina che con il processo di normalizzazione creerà una flessione delle condizioni di lavoro di tutti quei settori che finiranno per ritrovarsi fottuti in nome della competitività. E del resto è proprio una caratteristica della bioeconomia rendere possibili questi ricatti, quando ad esser capitalizzato è ogni aspetto della vita umana, e quando il seme della non libertà sei costretto a piantarlo non appena sottoscrivi il tuo primo mutuo, anche se solo per procurarti dove vivere.
Ad una obiettiva analisi, ripulita dai ”a Pomigliano sono tutti fannulloni” o dalla “schiavitù a tutti costi in nome della ripresa”, il colpo di mano di Marchionne appare piuttosto coercitivo ed arrogante, in grado di ledere profondamente la dignità e le condizioni della vita degli operai, delle loro famiglie e di creare delle condizioni tali da permettere che questo si perpetui e si propaghi senza sosta. Una vera offensiva contro la classe lavoratrice.
Il gioco è bastardamente contorto per non sentirsene coinvolti anche se sicuramente dalla commessa alla segretaria o dal postino all’infermiere o dal professore al bancario, tutti si sentiranno così lontani da quegli operai da credere di poter permettersi un’alzata di spalluccia e quattro passi di indifferenza laddove si va incidendo anche sul loro destino e futuro. L’economia globale unge da lontano e proprio da dove meno te lo aspetti ed in questo sta la forza della sua bastardaggine.
Ma se l’industria mette sotto ricatto la vita del popolo, non dovrebbe essere lo Stato a correre in difesa del suo popolo correggendo e moderando il capitale nelle sue pretese, nelle sue estorsioni di vita ? E oltre che ingenua, quanto maldestra e sovversiva potrebbe risultare questa domanda se finisse che a far le veci di questo capitale ci fosse proprio lo Stato ?
E se al posto della “classe operaia” usassimo il termine “moltitudine precaria”, per indicare quella moltitudine salariata la cui vita risulta precaria perché dipendente dagli andamenti del mercato e soggetta alle nuove alienazioni derivate dalla produttività e dalla competitività, se usassimo questo termine ci verrebbe forse il sospetto di far parte di qualcosa di molto esteso e numeroso, ci farebbe riconoscere nel torto subito dall’altro, e percepire l’ingiustizia anche indiretta ?
Ci farebbe render conto, una volta riconosciuti, di far parte di qualcosa di straordinariamente numeroso, inarrestabile e potente ?
Intanto a continuare ad esser scritta è solo la storia del capitale, incisa sulla nostra pelle, come unica enunciabile… come ineluttabile estrema unzione.