lunedì 31 gennaio 2011

L'orrido

Scorgiamo l’orrido nei tumulti Africani di questi giorni, l’incensurata paura, a pensarci, che l’ordine che ci definisce possa esser turbato. Distanza dai fatti, moderazione, ritiro incondizionato nel grembo dei poteri che ci assicurano l’esistenza, ulteriore attaccamento a quell’ordine senza il quale perderemmo qualsiasi consistenza. Meglio il bunga-bunga.
E così, conservatori abietti, letargici nel nostra masochistica sottomissione, inorridiamo alla sola idea che qualcuno possa aprire le luccicanti sbarre della nostra gabbia-giardino e tirarci fuori, e che anche un solo filo d’erba della amata caverna possa esser calpestato.
Sì è giusto, inorridiamo, non ignari però che nell’azione barbara pulsa incontenibile il cuore del Nuovo che avanza.

Sulla Plebe ...

La citazione sulla plebe proviene da un’intervista di Foucault rilasciata nel 1977. In queste righe Foucault dice che la plebe non è mai una realtà sociologica come la classe operaia o la borghesia, ma una potenzialità che si annida in tutte le classi. Lungi dall’essere un soggetto, la plebe è al contrario una critica che si sottrae o tende di sottrarsi all’essere eccessivamente governati. E' una forza anonima che manda in frantumi il sistema di controllo perpetuo che ci obbliga a una regola di comportamento. Il divenire plebe fa saltare la regola del disciplinamento per cui ad ogni soggetto, a ogni identità corrisponde un comportamento standard.

La plebe, che si cela in ciascuno di noi, traccia nel nostro corpo e nella nostra anima regioni irriducibili alla presa del potere.

"Non c’è assolutamente realtà sociologica nella "plebe". Ma c’è comunque sempre qualcosa, nel corpo sociale, nelle classi, nei gruppi, negli individui stessi che sfugge in certo modo alle relazioni di potere; qualcosa che non è affatto la materia prima più o meno docile o resistente, ma il movimento centrifugo, l’energia di segno opposto, l’elemento sfuggente. Non esiste "la" plebe, c’è "della" plebe. C’è nei corpi e nelle anime, negli individui, nel proletariato e nella borghesia, (...) Questa parte di plebe non è tanto l’esterno rispetto alle relazioni di potere quanto il loro limite, il loro inverso, il loro contraccolpo; è ciò che risponde ad ogni avanzata del potere attraverso un movimento per svincolarsene; ed è quindi ciò che motiva ogni nuovo sviluppo delle reti di potere ." (M. Foucault)

...E se in molte delle diagnosi c’è stata la tendenza a scorgere nella plebe l’emergere del nuovo soggetto rivoluzionario, nel pensiero di Foucault essa si configura, del resto, come tutt’altra cosa da un soggetto. Insomma plebe è sinonimo di pratiche di desoggettivazione.

giovedì 20 gennaio 2011

La nullificazione del nulla


Tutto è compiuto. Prima la realtà si fa finzione e poi, quando deborda dal linguaggio, immagine. L'immagine che prima è forma di controllo e potere, sovraesposta alle aberrazioni del caso, quasi illeggibile dai putridi e maleodoranti umori del viscido malato, grande architetto, che la vorrebbe sempre condivisibile, ed invidiabile, e magna, ora attende le contorsioni dell'immaginario collettivo, sempre suo fedele, per uscire dall'attimo di vacuità, per tornare all'altezza che le spetta, per produrre nuova normalizzazione, nuova verità.

Non è falsificazione, è cruda realtà che si fa immagine violenta e riprovevole, ma che vuole apparire come espressione senza censure di se stessi; non dunque disattenzione, ma noncuranza nel mettersi in mostra quasi fosse, per dirla come Foucault, forma ultima di confessione, che limacciosa scorre e si insinua nei cervelli ormai devastati del grande pubblico.

Se la violenza dell'immagine è quella di far sparire il reale, la tragicità dell'immediato vuole che nello scorrere di queste immagini, con il loro agonizzante latrato di sottofondo, ci sia l'ennesima opportunità di normalizzazare l'impensabile, ciò che nemmeno quel che resta del comune senso del pudore avrebbe consentito.

L'oscenità che raggela il sangue di pochi si perde in quell'attenzione mediatica, che a dirla come Baudrillard, non è brama di sesso, ma spettacolo della banalità, dell'insignificanza, della piattezza a qualunque costo.

La vera pornografia in fondo forse è proprio questa, essere partecipi al diritto di non essere nulla e godere del fetore del letame.

Un senso di rabbia tremendo mi assale, perchè pensavo di aver visto tutto, perchè pensavo non si potesse strisciare così in basso. La rabbia mi consuma perchè lo spettacolo fa schifo ed offende con violenza inaudita quel poco di lucidità che resta.

Lo spattacolo mi uccide perchè è la nullificazione del nulla, che equivale ad una morte seconda, ... e l'indignazione ed il furore dell'insurrezione sono ancora minorenni per potervi assistere.

Un senso di vomito mi da la complicità dei giullari del meschino, quella partecipazione enfatica al sommo cagare, complicità interattiva pronta a tradursi in moltiplicatore della sottomissione volontaria delle vittime che godono del male che gli si infligge, della vergogna di esistere che gli si impone.

Troppo sommessi e con la testa china assistiamo al requiem di quel che resta della ragione e di ciò che distinguevamo come realtà. E solo dei folli lascerebbero andare impuniti gli architetti di sì infausto inganno e infelice tradimento.

Più maledetta che mai, la mia nota di questa notte, vola nel web pesante di collera alla ricerca di un senso, ...e se mai si unisse ad altre, anch'esse così maledette,... quel piccolo suono, forse, mi direbbe che ancora Sono.

lunedì 10 gennaio 2011

Insorgenze post diktat

Nel giugno 2009 a seguito di eventi scrissi la nota "Genesi", dove enfatizzavo il proverbiale contributo derivato dall'esser sottoposti all'onta della cenere sul capo. Ora l'evento si ripete e mi stupisco come simultaneamente l'indignazione si tramuti in una strano senso di pace, di tiepida e carezzevole calma. Scelgo i termini con cura, cerco di descrivere quel limpido ed elettrico piacere che ride in quello spazio di tempo prima di una nuova tempesta. Sento il sangue scaldarsi, il cuore calmarsi, la mente aprirsi e ciò che prima era confuso si mette a fuoco; metto a fuoco il target, ...e capisco di non esser malato. E la collera, senza bisogno di esser sublimata, mi conduce in uno stato meditativo.

Potrebbe essere una lettera aperta ai miei colleghi, se non fosse che so che per molti ciò non significherà nulla. Possiamo far sì che nulla sia eclatante, possiamo senza paura non farci carico di alcun evento, ma ognuno di questi piccoli ed insignificanti diktat fa parte di un puzzle e questo puzzle è un disegno che alla fine, vuoi o non vuoi, stabilisce i limiti del possibile, determinando le nostre vite. Oh certo, è più facile lasciarsi trasportare dalla corrente qualcuno dirà, e costa minor fatica, ma non è detto che ciò porti minor rischio e con un po' di banale attenzione non è poi così difficile scorgere la cascata. Da tempo si sono serviti degli stolti per saccheggiare risorse che erano un bene comune...e noi, troppo presi da ciò che restava delle briciole,...dimentichi di quanto avevamo e di quanto ancora può spettarci.

So che non c'è abbastanza libertà nè consapevolezza nè ardimento e per questo per molti ciò non ha significato e per questo saremo fatti a pezzi. So che non c'è abbastanza dignità per svegliarsi nè sufficiente indignazione per sollevarsi, e per questo abbiamo già perso.

Ma non è solo per un'offesa che mi ribolle il sangue, ma per ciò che essa può rappresentare. Se a molti può bastare, dico che c'è molto di più per esser gratificati, che non una lenta degenza in attesa che la cartella clinica sia redatta.Solo nella lotta per la vita l'uomo onora e gratifica al massimo l'esistenza, solo nella lotta può conoscere cos'è l'alleanza ed esprimere il massimo di sè, contro chi lo minimizza, gli sottrae e lo determina. E lo spazio della lotta è il nostro spazio quotidiano, ...e se non ora, quando ?

Riprendersi i mezzi per la riproduzione del nostro presente e del nostro futuro, questo è il campo di battaglia, questa è la grandezza di una posta in gioco che con visioni troppo ristrette non riusciamo a cogliere.

E queste le mie righe maledette di questa notte, che il nuovo giorno disperderà al vento.

Ma a chi ha colto grido, ...con amore, per onore, irrefrenabili .

sabato 8 gennaio 2011

Tributo a "Le città invisibili" di I. Calvino


" Sì, bruceremo all'inferno, ma bruceremo anche l'inferno, per dare spazio, respiro ed ancora un po' di tempo a tutto ciò che c'è ancora che non è inferno."

giovedì 6 gennaio 2011

Foucault e Marx

«Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le virgolette, e poiché la gente non è capace di riconoscere i testi di Marx, passo per essere colui che non lo cita. Un fisico, quando lavora in fisica, prova forse il bisogno di citare Newton o Einstein? Li usa, ma non ha bisogno di virgolette, di note a piè di pagina o di un’approvazione elogiativa che provi fino a che punto è fedele al pensiero del Maestro. E poiché gli altri fisici sanno quel che ha fatto Einstein, quel che ha inventato, dimostrato, lo riconoscono subito. È impossibile fare storia oggi senza usare una sequela di concetti legati direttamente o indirettamente al pensiero di Marx e senza porsi in un orizzonte che è stato descritto e definito da Marx. Al limite, ci si potrebbe chiedere che differenza ci sia tra essere storico e essere marxista» Michel Foucault 

Per calore non per denaro. Nient'altro che per calore.


QUESTA è la mia poesia di questa notte. Al supermercato della stazione la temperatura era quella di fuori o poco più. Otto ore in cassa e la ragazzina al mio sgomento ha sorriso solo con un - è sì, è proprio un gelo. Lei non conosce alternativa, non è programmata per reagire, non avrebbe strumenti per reagire. Lei non possiede nemmeno un linguaggio che possa produrre qualcosa che si contrapponga a questo. Il riscaldamento costa. Lei non ha diritti, e se vorrebbe farli valere dovrebbe violare. Se un operaio muore dal freddo è convenzione, ..il riscaldamento costa. I benefici negli ambienti di lavoro sono un lusso, chi li reclama, per farlo deve violare la convenzione.Chi alza la testa e per reclamare si ribella violando è un vigliacco che non accetta la convenzione e se il suo linguaggio emette, è apologia di reato.Quando un operaio muore è statistica e c'è democrazia; se un amministratore si sente minacciato da quel linguaggio, non c'è democrazia nè dialogo, ma solo vigliaccheria.
Questa è la mia poesia di questa notte ed è molto più maledetta di quello che sembra. E' la mia poesia tinta di sangue che dedico a tutti i poeti maledetti che esitano.

Quella era la spina di oggi su di un petalo di rosa, questo il linguaggio più pudico che convengo per urlare e per sperare, ...per sperare di non soccombere da solo a questa fredda e macabra liturgia.